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Cecità di Josè Saramago

“La cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza”

Da quando il primo uomo sperimenta la cecità in un luogo sconosciuto in un tempo indefinito, ogni nuovo personaggio che perde la vista perde anche la sua identità.

Il tunnel di indifferenza, cattiveria, prepotenza, all’interno del manicomio prima e nella città poi, nel quale si precipita sembra non avere fine. Anche la voce narrante, la moglie del medico, l’unica a non aver perso la vista, è costretta a combattere contro i cattivi e quindi a usare come loro la violenza, per difendere la sua dignità e quella dei suoi compagni. Il male, quale parte della natura umana, sembra prevalere sul bene a garanzia della sopravvivenza.

E quando sembra che il pericolo sia scampato e anche la vista torna, rimane la consapevolezza che tutta quella immondizia interiore non se ne andrà mai e che quindi la cecità permane finchè non si fanno veramente i conti con il buio che c’è dietro alle nostre paure e che ci rende tutti potenzialmente cattivi.

Ciò che si sperimenta leggendo è davvero incredibile, ad ogni pagina la paura di vedere tutto bianco diventa reale e vivi nell’angoscia dell’imminente disgrazia, perché “ci si abitua talmente ad avere gli occhi che ancora si crede di poterli usare anche quando non servono più a niente”.

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